Autonomia differenziata, una mina sotto la Costituzione
Raffaella Leone
Non è difficile capire perchè si parla poco del disegno di legge firmato dal ministro per gli affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli ( Lega per Salvini) recante Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione ,dallo scorso maggio in esame presso la commissione permanente Affari Costituzionali del Senato. E perchè, di conseguenza, si parla poco e comunque non abbastanza delle devastanti conseguenze che, se approvato ( e basterebbe la maggioranza assoluta, vale a dire i votanti più 1) questo disegno di legge avrebbe sull’impianto stesso della nostra Carta Costituzionale e sui principi e i valori che la ispirano: universalismo, solidarietà, sussidiarietà, giustizia sociale. Il governo, molto meno compatto di quanto vuol far credere, ha tutto l’interesse a tenere sotto traccia il confronto che pure si è sviluppato, e anzi sta crescendo, su un no radicato e motivato verso questo disegno di legge , più che divisivo per la stessa maggioranza. Le opposizioni, per una volta unanimi nel no senza se e senza ma, sono costrette a loro volta a non portare in primo piano l’autonomia differenziata, sia perchè le sfide che quotidianamente il governo Meloni mette in campo sono più stringenti- dai migranti al salario minimo- sia perchè il tema è oggettivamente ostico per i cittadini normali ( così ci ha definiti un costituzionalista) intendendo le persone non direttamente impegnate in comitati, associazioni o forme di partecipazione attiva alla politica.
Semplificando al massimo, se passasse il progetto di autonomia differenziata, le regioni potrebbero chiedere potestà legislativa su materie di competenza esclusiva dello Stato, materie fondamentali per attuare gli obiettivi indicati dalla Costituzione e garantire i diritti su tutto il territorio nazionale. Scuola, salute, lavoro, ambiente, sicurezza, energia, servizi sociali e asili nido, mobilità, sarebbero pensati e gestiti a livello regionale. Persino i Beni culturali – forse il ministero più arcigno nel difendere la propria supremazìa- sarebbe assoggettato alle politiche regionali.: musei, siti archeologici , scavi avviati o programmati. Non la Repubblica una e indivisibile scritta nella Carta costituzionale, (art 5) ma 20 repubblichine sovraniste ciascuna con la propria politica sanitaria, energetica, di formazione, di contrattazione e via dicendo.
Il ddl Calderoli ha le radici più profonde in Veneto e in Lombardia, roccaforti ora un pò sgretolate della Lega- e successivamente in Emilia Romagna; regioni che sono il ricco motore della locomotiva Italia e che vorrebbero trattenere sul proprio territorio i proventi anche della fiscalità generale, oltre che ovviamente delle tasse locali. Nelle 60 audizioni parlamentari svolte dalla commissione Affari Costituzionali il ddl Calderoli ha collezionato una serie di critiche radicali, a cominciare da un link apparso, scomparso e poi riapparso, contenente la bocciatura dell’ufficio bilancio del Senato. Fior di costituzionalisti, studiosi di scienza delle finanze, rappresentanti di autorevoli associazioni hanno messo in guardia dal proseguire sulla strada imboccata dal ministro, padre – lo ricordiamo per inciso- della legge elettorale da lui stesso definita ‘porcellum’ -( dichiarata incostituzionale nel 2013)- e dei roghi pubblici di ‘scartoffie’ ai tempi in cui bisognava dar prova di lotta alla burocrazia, lotta tanto indispensabile quanto a tutt’oggi fallita. E sono arrivati anche due no ‘pesanti’ ,quelli di Bankitalia e della Confindustria.
Fra le tante incongruenze messe in luce dagli esperti – non ultima la domanda centrale: che ne è del ruolo del Parlamento?- una in particolare colpisce: il ddl ruota intorno ai LEP- Livelli Essenziali di Prestazioni, quelli che in pratica stabiliscono i servizi e i diritti che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale – ma nel ddl i LEP non sono specificati. La casalinga di Voghera avrà le stesse prestazioni essenziali in materia di sanità, scuola eccetera, del piccolo imprenditore di Prato o di Castellamare di Stabia?
Ben si capisce l’allarme che è risuonato a Roma in un infuocato 19 luglio durante l’incontro promosso da Svetlana Celli, presidente dell’assemblea capitolina, con il Comitato romano per il ritiro di ogni autonomia differenziata ,dal titolo ‘Autonomia differenziata e Lep, quale futuro?’ C’erano tutti, da Gaetano Azzariti, ordinario di Diritto costituzionale Università La Sapienza a Paolo Liberati, ordinario di Scienze delle Finanze Università Roma Tre, a Marina Boscaino, portavoce nazionale dei Comitati per il ritiro di ogni autonomia differenziata, a Loretta Mussi, dirigente tecnico di sanità pubblica, ai rappresentanti della galassia di associazioni, comitati dei cittadini, reti laiche e cattoliche schierati per il no al ddl Calderoli. E c’erano anche diversi giovani,
Tempi ridotti , interventi brevi e a chiusura una testimonianza diretta, quella di Francesca Perri, medico emergentista da poco in pensione: quando ha avuto un grave problema di salute, si è rivolta alla sanità pubblica, pur conoscendone e denunciandone da anni le carenze e le distorsioni. L’appuntamento è per tutti al 30 settembre, per una grande manifestazione nazionale che faccia saltare il ddl Calderoli.