La cultura delle armi è entrata nella nostra vita, ma un altro immaginario é possibile

di Cristina Mattiello, presidente del Cipax (Centro interconfessionale per la pace ) e attivista di Monteverde per la pace

Cultura delle armi: come prevenirla?” è il titolo dell’incontro del Cantiere CIPAX, che si è tenuto alla Sala Buttinelli della Parrocchia della Trasfigurazione il 9 aprile. L’iniziativa si inscrive all’interno nella campagna contro il riarmo lanciata da Rete Italiana Pace e disarmo e altre reti. Il CIPAX aderisce sia alla campagna italiana Ferma il riarmo, che ha pianificato un mese di mobilitazione diffusa fino al 10 maggio, che a quella europea Stop ReArm Europe per il welfare e contro l’economia di guerra. Entrambe stanno preparando campagne su temi specifici e manifestazioni per i prossimi mesi. Il riarmo in corso comprende anche l’aumento dell’export di armi italiane nel mondo. La RIPD ha diffuso i dati aggiornati: 7,6 miliardi di euro. Continua l’export verso Paesi autoritari o con violazioni di diritti umani e anche verso l’Ucraina in guerra, mentre verso Israele nel 2024 non ci sono state nuove autorizzazioni ma continua la consegna delle precedenti forniture. Crescono intanto le autorizzazioni all’export, che si tradurranno in un aumento della produzione e della consegna di armi italiane nel mondo.

Bambini e bambine con la pistola in mano, che giocano sui carri armati, studenti di scuola superiore che svolgono percorsi di PTCO (la vecchia Alternanza Scuola/lavoro) nelle caserme, massiccia presenza di corpi militari nei programmi di Orientamento, a scopo reclutamento. È sconvolgente il quadro presentato da Roberta Leoni, dell’Osservatorio contro la militarizzazione della scuola e dell’università, nel suo intervento. “La guerra si combatte anche sul fronte interno”, quello delle menti, ha spiegato Roberta: il progetto “educativo” per la normalizzazione della guerra è ben definito, anche in documenti istituzionali, militari e non, e parte dalla scuola dell’infanzia: alza bandiera in divisa in classe, casi estremi come quello di alcuni Vigili urbani in Sicilia che hanno simulato un arresto davanti a bambini dai 3 ai 5 anni usando il cane e sparando a salve! A Roma classi portate gratuitamente il 4 novembre a familiarizzarsi con il mondo militare in un grande Villaggio della Difesa allestito al Circo Massimo. E molti insegnanti sembrano purtroppo inclini a “obbedire”. Numerosi i militari nel ruolo di docenti, di ginnastica o di educazione civica, si sono visti anche i marines della base di Sigonella dare lezioni di inglese e la Leonardo sta entrando nelle scuole con compiti “formativi”. Intanto procedono il processo di gerarchizzazione, e la tendenza a mettere in discussione la libertà di insegnamento e di espressione dei docenti, con casi di repressione e provvedimenti disciplinari per prese di posizione non gradite, sulla politica ministeriale e soprattutto sulla Palestina. Il sito dell’Osservatorio è ricchissimo di materiali, anche vademecum per la resistenza, scaricabili.

L’incontro del Cipax ha visto la partecipazione di altre tre relatrici. Delaram Saman, del Direttivo, che lo ha moderato, ha sottolineato come la cultura delle armi ormai normalizzata si insinua in ogni aspetto della vita quotidiana, mentre dobbiamo rifiutare questa logica, condurre una lotta non armata contro quella armata per costruire un altro immaginario possibile. Patrizia Morgante, formatrice e comunicatrice, ha messo in risalto come le parole, che sono performanti, creano una narrazione, a volte non corrispondente al vero, come nel caso di Gaza, in cui la comunicazione è basata su una forte asimmetria di potere. Le parole della violenza facilitano relazioni conflittuali e dure, mentre la mitezza, la morbidezza, la gentilezza ci aiutano a entrare in un’altra modalità di comunicazione e perfino di percezione del corpo. Dobbiamo, come dice papa Francesco, “disarmare la comunicazione” e recuperare il concetto di nonviolenza: nella relazione nonviolenta, che è aperta e empatica, non abbiamo necessariamente di fronte un avversario e non vogliamo “vincere”, c’è una persona, di cui possiamo conoscere la prospettiva diversa, anche restando sulle nostre posizioni, con soddisfazione reciproca. Oggi le parole sono così tante che non riusciamo neanche ad analizzarle bene. Dobbiamo parlare meno e meglio, lasciando anche dei vuoti. Per avere un silenzio che ci aiuti a sviluppare un pensiero critico. Maria Elena Lacquaniti, Coordinatrice della GLAM (Commissione Globalizzazione e Ambiente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia) ha analizzato l’atteggiamento delle chiese nei confronti della guerra: il messaggio del Vangelo è chiaramente contro la violenza (in Luca 22 Gesù ferma i suoi discepoli che vorrebbero prendere le spade per impedire il suo arresto, ad esempio), ma l’Europa, che rivendica le sue “radici cristiane”, approva un riarmo da 800 miliardi. Il tema della guerra, come quello dell’ambiente, apre contraddizioni anche all’interno delle chiese e delle comunità, che a volte sono sopraffatte dalla propaganda della paura, che porta a dire che vogliamo difenderci. Ma da chi? Forse dovremmo difenderci solo da noi stessi! Le lance che devono trasformarsi in vomeri (Isaia 2) sono l’aumento delle spese militari e i vomeri tutte le risorse per la cura che vengono tagliate. Alcuni settori però reagiscono. La GLAM è fortemente impegnata per la pace: in passato ha anche sostenuto attivamente, con l’aiuto delle chiese tedesche, la lotta per la riconversione della RWM, fabbrica di armi del Sulcis in Sardegna, i cui operai quando si resero conto che una loro bomba aveva ucciso in Yemen una grande famiglia vollero cercare un’altra via. Ora, con il CIPAX, fa parte della Rete Italiana Pace e Disarmo ed è attiva nel lavoro interreligioso, perché anche con mussulmani, buddhisti, induisti il linguaggio della pace è comune. Nel mondo protestante sono stati creati il gruppo battista Ambasciatori di pace e poi , sul dramma della Palestina, la rete, Dalla parte di Abele. Maria Elena ha ricordato anche l’importanza della difesa della Legge 185/90 sulla trasparenza del commercio delle armi.

Infine Elisabetta Caroti ha illustrato le possibilità di un impegno dal basso sul territorio, descrivendo le attività del Comitato Monteverde per la pace, del Cantiere la Tela, di Reti di pace. Attività diversificate per disertare il linguaggio della guerra, per dire che la guerra è criminale, primitiva, uccide per il 95% del percento civili, e la fanno gli adulti contro i giovani, i ricchi contro i poveri, i potenti contro i popoli: è quindi da bandire dalla storia. Prima modalità per esprimersi è andare in piazza con la bandiera della pace, fare manifestazioni e marce come la Perugia-Assisi ideata da Aldo Capitini. Poi i volantinaggi, in questa fase soprattutto sul tema della Palestina, la diffusione online di informazioni occultate dalla comunicazione mainstream, l’organizzazione di incontri di approfondimento. E poi l’impegno sulla legge 185/90, le banche armate, l’obiezione fiscale e l’obiezione di coscienza alla leva militare (che potrebbe essere riattivata, è solo sospesa!), l’attivazione del Dipartimento per la difesa popolare civile non violenta non armata. Oltre alla diffusione della campagna di boicottaggio (BDS) ai prodotti israeliani anche attraverso l’app No Thanks.

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