“Quella piazza non é la mia” Sardine a Roma, una voce fuori dal coro

Analisi politica dei sei punti delle sardine (e non solo).

CLAUDIA CERNIGOI·LUNEDÌ 16 DICEMBRE 2019·

Al di là di ogni polemica (che poi criticare le sardine oggi sembra lesa maestà come criticare i 5 stelle ieri, ma questo è un altro discorso che intendiamo fare a parte), vorremmo, con calma, parlare dei famosi “sei punti” enunciati in piazza a Roma il 14 dicembre scorso .Partiamo dall’ultimo punto, che è l’unico (a parere nostro) pregnante: “abrogazione” del decreto sicurezza.

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Come prima cosa va detto che nel discorso dal palco Mattia Santori ha detto che bisogna “ripensare” il decreto e poi, dopo mormorii rumorosi ha detto “abrogare, ok”, (l’intervento era ascoltabile nella pagina del Corriere della Sera, ma ora il link sembra non essere più disponibile). Immediatamente dopo, quando è stato intervistato dai giornalisti, ha precisato che loro vogliono la “modifica” e non l’abrogazione del decreto sicurezza, perché ci sono anche tante cose che vanno bene (cit.). Stamattina nel programma ci sta di nuovo l’“abrogazione” del decreto sicurezza (“Chiediamo alla politica di rivedere il concetto di sicurezza, e per questo di abrogare i decreti sicurezza attualmente vigenti”, leggiamo nella loro pagina ufficiale FB). Il che fa pensare sostanzialmente due cose: che Santori lui medesimo non voleva l’abrogazione dei decreti sicurezza ma è stato tirato per la giacchetta su questo argomento; secondo, che cambiano idea ogni due ore a seconda dell’aria che tira. Ma tant’è, e proseguiamo.

Il secondo punto invece non ci piace proprio. Se un ministro può comunicare solo tramite canali istituzionali, ciò significa che nessun giornalista potrà intervistarlo? che non andrà mai ad un confronto in un dibattito televisivo? Delle due l’una: o queste persone non hanno chiaro il concetto di “canali istituzionali”, oppure vogliono mettere il bavaglio alla stampa, e che si “lascino lavorare” i ministri senza interagire con loro.Il terzo e quarto punto vogliono dire tutto e niente, e quindi sorvoliamo, perché il vuoto non può essere analizzato. Il quinto punto di base potrebbe sembrare giusto (siamo d’accordo che le parole sono pietre e che le pietre fanno anche male, se gettate addosso), però… la violenza verbale, proprio perché è verbale, non può essere equiparata alla violenza fisica. Sono due cose diverse e vanno sanzionate in misura diversa. Generalizzando, appiattendo, si perde il senso reale delle cose. Insultare qualcuno non è come prenderlo a sprangate: non dobbiamo dimenticarlo. Infine torniamo al discorso dell’inizio: criticare le sardine è diventato molto ma molto rischioso. Considerando che queste persone avrebbero deciso di scendere in piazza (così si dice) perché erano stanchi della violenza e dell’aggressività nella vita politica, è francamente incomprensibile il fatto che le risposte delle “sardine” ai commenti critici o anche semplicemente interlocutori che vengono postati sull’argomento siano sostanzialmente basate sul mantra “e allora statevene a casa” (variante “restate sul divano”), come se in questo paese non si fossero fatte manifestazioni prima che quattro iscritti a Facebook decidessero di fare una chiamata per la discesa in piazza, priva di contenuti reali ma solo per essere contro Salvini. Diciamo subito che ciò di per se stesso potrebbe anche bastare, ed è una motivazione del tutto rispettabile e condivisibile, ma può andare bene per delle occasioni singole, di contrapposizione alle manifestazioni dell’ex ministro noto dj del Papeete. Aggiungiamo però che manifestazioni contro la Lega e contro Salvini, già da prima che si instaurasse il governo giallo-verde, ce ne sono sempre state, anche se non di massa come queste (indette quando ormai Salvini non è più al governo): chi “stava sul divano” quando la Lega governava non siamo noi (e per noi intendo i militanti della sinistra comunista) che critichiamo la pochezza dei contenuti delle sardine ed il loro settarismo nei confronti di chi abbia un’idea identificabile in un simbolo, sia pure una bandiera rossa (che non è simbolo di un partito), ai quali è impedito di entrare in una piazza che non vuole bandiere, non vuole simboli, non vuole identità politiche diverse dal sentirsi una sardina, che solo Nettuno sa quale identificazione politica possa essere. Una piazza che non è la mia, e nella quale non mi sento di identificarmi (noi non siamo di quelle persone che scendono in piazza per il solo scopo di scendere in piazza, ma lo abbiamo sempre fatto con motivazioni più profonde, che possono anche non essere condivise, ma che comunque esistono) e che peraltro non mi vuole, perché non vuole chi ha già un’identità politica cui non intende rinunciare. Perché dovremmo sentirci obbligati a condividere un fenomeno solo perché è di massa? Non basta dichiararsi antifascisti per essere veramente alternativi: tutti i cittadini italiani dovrebbero essere antifascisti, chi non è antifascista è fuori dalla Costituzione, ma se come discriminante è fondamentale, non è peraltro sufficiente per creare un movimento veramente innovativo che cambi le sorti di questo Paese. C’è poi un altro punto che ci convince poco: in base a cosa Mattia Santori è diventato il leader politico di questo movimento? Sembra tanto un “uomo del destino”, autoproclamatosi e poi acclamato dalle masse… Infine, una breve riflessione sulla visibilità mediatica di questo movimento. Vero che trattandosi di manifestazioni di massa fanno notizia: ma vi sono state e vi sono ancora oggi manifestazioni di massa che non hanno goduto del rilancio mediatico che hanno le sardine. Le manifestazioni Notav, che hanno sempre coinvolto tantissime persone, sicuramente non di meno di quante ne hanno coinvolte le sardine in Piemonte, vengono ignorate oppure relegate in trafiletti nascosti, o, peggio, criminalizzate; la catena musicale per il 50° anniversario della mai chiarita morte di Pino Pinelli, caduto dal quarto piano della questura di Milano nei giorni successivi alla strage di piazza Fontana, manifestazione che ha visto partecipare migliaia di persone, anche tantissimi cantanti e musicisti, non è stata oggetto di visibilità mediatica. Ed arriviamo alla “sfida” di riempire la piazza San Giovanni a Roma, che da quanto si legge in questi giorni pare non sia riuscita mai a nessuno prima che ci provassero le sardine: piazza San Giovanni è stata riempita centinaia di volte, dalle manifestazioni sindacali e da quelle internazionaliste, dalle manifestazioni contro le guerre a quelle per i diritti, come fu il 15 ottobre 2011, quando il comitato No debito portò in piazza decine di migliaia di persone. La differenza con le sardine di oggi è che noi ci trovammo, come accoglienza istituzionale, cariche pesanti e lanci di lacrimogeni, mentre i provocatori vestiti di nero che impazzavano nel corteo bruciando automobili e serrande venivano lasciati in pace dalle forze dell’ordine. E noi che siamo scesi in piazza negli ultimi quarant’anni rischiando cariche e lacrimogeni, pestaggi e manganellate, e che abbiamo visto ammazzare compagni innocenti, rilanciamo al mittente le accuse di “immobilismo” che subiamo per il solo fatto di avere dei dubbi sul valore reale di questa mobilitazione che ci sembra troppo gonfiata per essere realmente valida. Il rischio è che, se alla fine il tutto si risolverà in una bolla di sapone perché chi ha mosse le persone non sarà in grado di dare loro dei contenuti validi, oppure le sardine verranno fagocitate in qualche lista elettorale sui generis che non soddisferà nessuno, il risultato sarà quello di bruciare migliaia di persone che avrebbero potuto costruire qualcosa, se ci fosse stato qualcosa da costruire.

Claudia Cernigoi, 16 dicembre 2019




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