di Vincenzo Valentino
Mi son svegliato una mattina,
ho sognato che passeggiavo in via Carini
un tempo strada di vigneti e buoni vini,
eppur la sera prima ero andato a letto senza cena.
Sarà perché di giorno l’incubo è vicino
che la notte si veste di immaginazione?
Racconterò del sogno come un’opinione.
Era l’ora del vespro della sera,
ora in cui ci si muove nel quartiere
per far rientro nelle intime dimore.
Allora passavo in via Fonteiana
e più non v’era coda come ieri
all’incrocio con via Paola Falconieri.
Ma si sa che quando l’uomo è distanziato
anche il traffico è decongestionato.
Il bravaccio più non ti minaccia
di lontan, con il suo tatuato braccio
se allo scoccar del verde gli inibisci lo scatto.
A distanza siamo tutti più educati
in Metro, della gente più non senti i fiati,
e non è fatalità se l’autobus
bacia con la rima il virus.
Reclusi in camere asfissianti
non attaccano chewing gum sotto i banchi
tratte dai denti gli studenti impertinenti;
ma seguono attenti i teoremi e le tangenti
e da lontano sembrano meno deficienti.
Se poi sei stato posto in quarantena
puoi evitare gli altri se non sei in vena.
Perché è un fatto di sostanza
che si tiene meglio la distanza
da chi se ne ha abbastanza.
Ma quando verrà il poi
che ne sarà di noi?
Ahi noi, se c’è stato un prima
ci sarà un poi,
ma quando sarà finita questa noia
e finalmente verrà il poi,
noi, memori del prima, col senno del poi,
continueremo a vivere come prima
senza distinguere il prima dal poi?
Vincenzo Valentino, novembre 2020