di Barbara Salsetta, co-titolare fino all’ottobre del 2021 della libreria I Trapezisti a via Mantegazza
Da qualche anno assistiamo impotenti a quello che oggi si può definire “l’estinzione” delle librerie indipendenti, da un articolo di fanpage leggo che nel nostro paese sono 2300 le librerie chiuse negli ultimi cinque anni.
Nelle città e nei piccoli centri urbani, i quartieri si svuotano dei presidi culturali che le librerie costruiscono e portano avanti con dedizione, passione e creatività. I Trapezisti hanno abbassato le serrande un anno fa, e non è stato facile alzare bandiera bianca dopo aver lottato per la sopravvivenza di un luogo che principalmente voleva essere di tutti, e che era riuscito ad essere, quella che io chiamavo una base logistica per la nostra Rivolta Culturale! Per essere e sentirci parte attiva della crescita intellettuale di un paese in cui da troppo tempo oramai avanza un processo di imbarbarimento sociale e culturale che manifesta la sua espressione più alta nel populismo che dilaga tra la gente. Materia che la nostra peggiore classe politica cavalca ed alimenta senza ritegno e grazie ai social media ne amplifica la voce.
Il nostro piccolo salotto retrò ha accolto progetti, idee, autori, artisti, editori, associazioni, lettori affamati e lettori smarriti in cerca del libro per ricominciare a viaggiare, piccoli lettori da contagiare e genitori da supportare nella scelta delle storie più belle da raccontare. Essere un trait d’union, luogo di incontro, mettere in relazione la parte migliore di questo paese, quelli che come noi ricercano la bellezza in tutte le sue forme, ha dato vita a più di cinquecento eventi, scuole di scrittura, gruppi di lettura, laboratori creativi, piantumazione di alberi, raccolte fondi per salvamamme, sinergie tra realtà che non si conoscevano da cui sono nati progetti anche fuori dalle nostre mura, amicizie e legami tra la gente del nostro quartiere e il resto del mondo al di fuori di Monteverde.
Di fronte a questa strage né la politica locale né quella nazionale è intervenuta a tutela di una categoria che non definirei propriamente di commercianti ma di promotori culturali, che non dovrebbe costituire società che non possono essere competitive sul mercato, in quanto strangolate (da una distribuzione monopolizzata) /da un sistema economico che agevola le librerie di catena, da Amazon e dalla mancanza di incentivi verso la cultura. Le librerie indipendenti dovrebbero essere considerate associazioni di promozione culturale e sociale con tutte le agevolazioni che questa forma comporterebbe. Ma come dicevo prima a parte una legge che vieta lo sconto sul libro superiore al 5%, puntualmente aggirata dai grandi di questo mondo, non abbiamo avuto nessun intervento dal ministero dei beni culturali, nonostante vantiamo la presenza di un ministro noto soprattutto per essere quello rimasto in carica più a lungo nella storia della Repubblica Italiana, avendo ricoperto questo ruolo in ben quattro governi diversi: Renzi, Gentiloni Conte II e Draghi. Il migliore dei ministri possibili?
Oggi quelle serrande sono ancora abbassate e il silenzio culturale imperversa su via Laura Mantegazza, io non ho mai smesso di essere una libraia dentro, perché quello del libraio non è un mestiere che fai o che smetti di fare, è un modo di essere che ti lega indissolubilmente alle parole, al profumo delle pagine da raccontare, delle storie da ascoltare, alla gente da contagiare.
Ho cinquantuno anni e sono stata una libraia per quasi metà della mia vita, ho una laurea in lettere e una grande passione per la letteratura e l’insegnamento, che ho esercitato privatamente in questi anni perché un lavoro non bastava a far quadrare i conti. Da quando abbiamo chiuso la libreria, percepisco il reddito di cittadinanza e sto ancora aspettando non solo le famose proposte di lavoro ma addirittura il patto di servizio, che non è mai arrivato. E così in questo lungo anno, grazie al reddito e ai tanti lavori saltuari che faccio per sbarcare il lunario, ho intrapreso il percorso che conduce all’insegnamento nelle scuole e ho scoperto subito che non si tratta di solo impegno e studio per acquisire i titoli abilitanti e le certificazioni per acquisire punteggio, ma anche di investimento economico. Per questo ho dovuto rinunciare al concorso per avere l’abilitazione come insegnante di sostegno perché superarlo ti dava solo la possibilità di accedere ad un corso di un anno i cui costi variavano dai 2500,00 ai 3800,00 euro, a seconda dell’Ateneo scelto per sostenere concorso e corso, ed è sconvolgente che questi siano i costi di università pubbliche. Con le mie scarse possibilità economiche sono riuscita a sostenere e superare gli esami per il titolo che ti consente almeno di entrare in graduatoria come supplente non abilitato, ovvero i CFU24, il cui costo si aggira intorno ai 500 euro. Entro in graduatoria e scopro che da tre anni una circolare del MIUR che sembra non avere alcun senso logico, vieta a coloro che sono in attesa di chiamata nelle graduatorie, di inviare le MAD ovvero le messe a disposizione come supplente in tutte le scuole d’Italia, nonostante l’entrata in graduatoria restringa l’area delle chiamate all’unica provincia che sei obbligato a scegliere dal momento in cui si viene inseriti. Così a quanto pare in graduatoria abbiamo il limite della provincia in cui siamo stati confinati, mentre i dirigenti scolastici per le supplenze brevi possono chiamare anche dalle MAD che ricevono dai laureati non abilitati che non sono in graduatoria.
Le supplenze sono l’unica possibilità per acquisire punteggio, salire nelle graduatorie e dopo anni di precariato entrare di ruolo”, queste sono state le parole del sindacato a cui mi sono rivolta quando arrabbiata ho chiesto come può accedere all’insegnamento una persona povera che ha una laurea, una ventennale esperienza di lezioni private e una grande passione per la formazione culturale dei ragazzi.
In attesa di una supplenza continuo la mia ricerca di un lavoro che possa darmi un minimo di stabilità economica e psicologica, perché non si tratta solo di sostentamento per chi come me per il lavoro vive e si sente vivo lavorando. Per me lavorare vuol dire offrire il proprio contributo per crescere e creare valore qualunque ruolo si svolga e in qualsiasi ambito si operi.
Purtroppo faccio i conti con un paese pieno di contraddizioni, visto che la nostra costituzione mette il lavoro al primo posto dei diritti di un cittadino italiano, ma è incapace di offrire vere opportunità lavorative. Un paese in cui si sta facendo una guerra e ha visto una campagna elettorale spietata contro chi percepisce il reddito, considerandolo un privilegiato senza voglia di lavorare.
Senza questo piccolo sostegno, dopo ventidue anni di lavoro avrei dovuto lasciare Roma, la mia città di adozione in cui vivo da trentotto anni e tornare in Sicilia al mio paese di origine, dove le opportunità di lavoro sono ancora più basse per non dire inesistenti, e il pericolo che questo possa ancora accadere non è scongiurato. Eravamo I trapezisti nonostante il circo non avesse nulla a che fare con noi, ci chiamavamo così perché I trapezisti sono atleti che eseguono acrobazie mozzafiato a grandi altezze, ma sono anche intrattenitori e avventurieri, e in qualche modo questa ci sembrava la metafora perfetta per descrivere il nostro “pericoloso” lavoro. Posso solo concludere dicendo che la libraia e la trapezista che mi porto dentro, ha un grande allenamento alle spalle rispetto agli ostacoli enormi che è necessario superare quando si parla di cultura, istruzione e lavoro in questo paese ed è grazie a questa palestra che mi sento ancora al trapezio in attesa della prossima esibizione.