Raffaella Leone
Per fare un tavolo, ci vuole il legno, per fare il legno ci vuole…Come nella poesia/canzone di Sergio Endrigo (vecchia sì, ma ogni tanto ci si incappa ancora qua e là sui social) per fare un Centro di Aggregazione Giovanile ci vuole tanta determinazione unita ad una serie di passaggi tecnico-amministrativi che in questo caso però hanno un senso e sono realmente a tutela di chi poi frequenterà il centro di aggregazione. Primo dei passaggi, a quale fascia di età ci si rivolge. 11-18 anni, hanno stabilito le irriducibili volontarie che sono rimaste a fianco di Marta Paloscia la logopedista monteverdina che ha messo in moto il complicato iter necessario a far nascere un Cag a Monteverde, quartiere che ne è del tutto sprovvisto.
11-18 anni, l’età dell’incertezza: un’età che i preadolescenti si ritrovano a vivere senza luoghi di incontro certi, ora che la funzione aggregatrice della scuola è fortemente indebolita e anche gli oratori, altro tradizionale spazio di scambi e socializzazione, perdono man mano attrattiva agli occhi della cosiddetta Generazione Z che sempre più spesso si incontra, litiga, si scambia amicizia quasi solo via social, ciascuno chiuso nella propria chat di riferimento . E poco conta che queste chat siano più di una, quello che manca è un contatto concreto con il mondo reale, la possibilità di confrontarsi tra coetanei e di scambiarsi qualcosa, fossero pure le figurine Panini.
Mettere in piedi un centro giovanile per questa fascia di età è complesso, per esempio richiede comunque un operatore formato ( e certificato dalla Regione) non come inutile appesantimento burocratico ma in questo caso a tutela dei giovanissimi eventuali frequentatori del centro. E richiede un progetto più o meno articolato, e spazi dedicati. Esaurito l’effetto-vetrina che al primo, affollato incontro aveva richiamato tante mamme e qualche papà ciascuno con la propria associazione, ora comincia il lavoro duro e non sarà semplice. C’è da sperare solo che non sarà un lavoro lungo, qualche appiglio su cui fare forza c’è, a cominciare da quei patti educativi di comunità che chiamano in campo anche la scuola e a cui lo stesso municipio si mostra sensibile.