INCONTRI Un cenacolo di giovani artisti nella Basilica di San Pancrazio

L’artista iraniano Amirhossein Yaghoob ha un suo atelier, il filmaker romano Andrea Catini suona il pianoforte della basilica, Miguel, rifugiato politico venezuelano, è custode della nascente biblioteca dei “libri viventi”. Ed insieme a loro tanti artisti, giovani con talenti espressi o da scoprire. Tutto grazie al parroco don Angelo Campana, carmelitano scalzo: “Non faccio altro che dargli un posto per esprimersi”.

di Marina Greco

Per loro, tutti ventenni, più che un cenacolo artistico, quello che si è creato intorno a don Angelo Campana, parroco della basilica romana di San Pancrazio, è una comitiva, scanzonata eppure profonda, dove cercare risposte, mostrarsi fragili senza tema di giudizio, altruisti senza secondi fini, scopritori dei talenti propri e degli altri, ascoltatori reciproci, completamente umani, in sostanza liberi. E così, a tarda sera, nella primavera 2024, due di loro – Andrea Catini, filmaker romano ed Amirhossein Yaghoobi, artista iraniano, per gli amici Amir – restano a chiacchierare, come spesso accade dopo aver salutato don Angelo, lasciandolo alla sua meritata notte di riposo, nella stanza della parrocchia che il parroco ha voluto diventasse l’atelier di Amir – pieno zeppo di tele, libri, cd – ma anche un luogo di ritrovo per gli altri: Emanuele Pala, fotografo, Leonardo Marziali, regista, Giacomo Gianfelici, fotografo, Riccardo Galdenzi, artista di realtà virtuale, Luca Bellagamba, Miguel, rifugiato politico venezuelano, Thomas, sanpietrino del laboratorio di mosaico vaticano, Alessio, Peter… Tutti in quell’età in cui si cerca il proprio cammino nella vita, tutti amici, alcuni anche coinquilini, per lo più non romani giunti nella capitale per coltivare una passione artistica.

Quella sera però, sceso il silenzio notturno, Andrea e Amir decidono di “inventarsi” qualcosa di diverso e finiscono per riavvolgere i fili di una storia antica di duemila anni, facendo di nuovo incontrare oriente ed occidente. Portano una grande tela sull’altare dell’antica basilica che confina con l’atelier e da cui possono entrare da una porta laterale. Andrea comincia a suonare il pianoforte a coda che don Angelo ha fatto accordare perché possa esercitarsi. Nei mesi del Covid ha iniziato per gioco a poggiare le dita sulla tastiera, seguendo i video su youtube, e come per incanto è uscito il mondo fatato di Chopin. Sorprendente considerando il mondo musicale da cui proviene (è il videomaker di Sick Luke, idolo del rap italiano, producer di grido). Ed ora sta anche preparando un album di suoi brani. Li prova proprio qui, nella basilica. Appena può ora arriva in auto da Montespaccato e si mette a suonare. “Qui sperimento quello che si dice il ‘tocco’ ma anche tanto altro. Mi emoziona quando qualcuno entrato in chiesa per pregare si avvicina per ringraziarmi. E qui trascorro momenti unici. Una volta mi è capitato che, avendo un aereo alle 5 di mattina per lavoro, ho deciso di passarci la notte. Io da solo in questa basilica immensa, immersa nella penombra. Mi sembrava di sentire cose che si muovevano, è stato molto emozionante. Come anche avere momenti di ricerca comune. Come accaduto quella notte con Amir… E quella sera in cui, nella basilica, abbiamo messo in scena uno spettacolo pubblico con Amir che dipingeva con un casco di realtà virtuale ed io che suonavo. E’ stato molto emozionante”.

Amir è arrivato in Italia 4 anni fa, a 21 anni, con un visto turistico di poche settimane ma in realtà per entrare all’Accademia di Belle Arti di Roma. Sapeva che se ci fosse riuscito ciò avrebbe significare dire addio alla sua famiglia a Teheran, tutta di musicisti. Sulla sua esperienza Andrea sta dedicando la preparazione di un docufilm (“senza volto, con la sua sola voce, le telefonate a casa, simbolica di tante altre migrazioni”).
E quella notte di primavera, sull’altare della basilica, mentre Andrea suona, Amir dipinge in quel suo modo che fonde l’arte orientale a quella occidentale, la divinità sentita nel cuore della prima a quella rappresentata incarnata della seconda, il simbolismo della calligrafia persiana alle forme plastiche del rinascimento, facendo emergere corpi tanto vigorosi quanto fragili, drammatici ed umani come nella sua “Strage degli innocenti”, il titolo che ha dato al quadro che ha iniziato a comporre quando hanno ucciso Mahsa Amini e poi cresciuto nel segno delle altre vittime dei pasdaran, Hadith, Armita, Nika, Anahita… E’ un ponte quello che getta Amir dipingendo lì dove – nella Roma antica – abitavano gli orientali di lingua greca, in questa basilica il cui culto nasce sul luogo della sepoltura, nel 304 d.C., di Pancrazio, 14enne orientale convertito al cristianesimo e martire. In una catacomba – parte di un dedalo che si dipana per chilometri nel sottosuolo, addentrandosi nelle viscere della vicina Villa Pamphili – in cui si venera anche Sofia, la santa martire che univa nel suo culto Roma e Costantinopoli. “Ho scoperto quello che avevano fatto la mattina dopo. Ed è stata una bellissima sorpresa!” rammenta padre Angelo, oggi seduto accanto ad Andrea per raccontarci come nasce questa esperienza “di ascolto ma anzitutto amicizia reciproca”.

“Ognuno di loro ha il suo talento, come lo ha ogni ragazzo di oggi, in una società che però non aiuta ad esprimerli, fatica a dare fiducia e ascolto – spiega il religioso della comunità dei Carmelitani scalzi che dal ‘600 gestisce la basilica di San Pancrazio -. Quindi la cosa più bella è quando riescono a scoprirli, metterli insieme e creare bellezza, nella conoscenza, nella stima reciproca, aiutandosi l’uno altro. Anelli di una catena che si sono trovati. Una condivisione in cui nessuno è geloso ma si mette a disposizione dell’altro. Come per me, che sono al servizio di questa basilica, che non è mia ma nostra. E così questo pianoforte – quando sono arrivato qui a settembre 2022 -, l’ho trovato che non lo suonava nessuno. Un giorno capita Andrea che conoscevo già da un paio di anni, quando ero rettore della chiesa di Santa Maria della Vittoria, e mi chiede se può mettersi al piano perché ha imparato a riprodurre quelle tracce da tastiera che trovi su youtube. E quello che ho sentito è stato impressionante, sono rimasto senza parole. Gli ho detto subito venire a suonare in chiesa quando preferiva e così questo strumento ha ripreso vita!

Ed ora ascoltarlo fa bene a tutto il gruppo ma anche me, come a chi entra in chiesa. Lo accosta, poi gli si avvicina, gli parla e conosce così un giovane con un’anima davvero bella…”. “Ma fa bene anche a me! – interviene Andrea –. Se non fosse stato per don Angelo sono certo che avrei lasciato perdere, con youtube giochicchiavo nelle pause del lavoro, sono certo che avrei smesso. Mi ha ascoltato e incoraggiato e siamo diventati amici, l’ho portato anche in Abruzzo a conoscere il paese dei miei nonni. E’ molto diverso da qualsiasi altro sacerdote che ho conosciuto (sono stato chierichetto) e che dalla chiesa mi hanno fatto allontanare. Quando il mio amico Riccardo, con cui studiavo all’Istituto Pantheon, mi ha detto che mi voleva presentare questo sacerdote che sosteneva giovani artisti, a Santa Maria della Vittoria, mica ci volevo andare, pensavo sarebbe stata la solita solfa. E invece…”. “Ma non faccio nulla di eccezionale! – riprende don Angelo -. Apro le porte a questi giovani, gli offro uno spazio per esprimersi, li accolgo ognuno per quello che sono. Dobbiamo pensare come sentono loro non come vorremmo che pensassero noi adulti. Sono onesto con loro, gli mostro la mia umanità, semplicemente: condividiamo un piatto, ci ascoltiamo l’un l’altro… Ed in questo approccio umano c’è molto di sacro. Mi colpiscono tanto per la loro capacità di attingere parole vissute nello spirito. perché la vita spirituale vera è quella reale, che ha che fare con la propria umanità. Come il Signore ha operato in me ora io opero per loro. Non sono io che faccio ma lascio loro la libertà di esprimersi. Mi fa intenerire che, quando celebro, li vedo affacciarsi in chiesa e stare lì ad ascoltare. Basta questo, non mi interessa altro. Siamo ‘adelphos’ come si chiamavano i primi cristiani, diversi tra loro ma che si chiamavano fratelli. E loro fanno quello che fanno tutti i ragazzi, ci ‘scomodano’ con il loro linguaggio, delle volte non è facile stargli accanto. E posso dire che, se continuo a dare la mia vita al Signore, è anche per loro, dietro il cui volto vedo quello di Gesù. E così ecco che c’è lo studio di pittura di Amir, Giacomo che ha fatto un servizio fotografico sulle catacombe della nostra chiesa, Miguel che presenta una volta al mese un ‘libro vivente’, un ospite che ci racconta la sua vita. Ed ecco Andrea che ha scoperto di essere nato pianista e che non lo sapeva! Ha un talento naturale, quando suona è poesia. L’avessi avuto io! Ora, la mia passione per la musica e l’arte, la metto al servizio di questi ragazzi”. Don Angelo ha dedicato a Gianlorenzo Bernini la sua tesi di laurea, durante gli studi a Firenze. Per farla approdò a Roma, nella chiesa Santa Maria della Vittoria, per studiare i documenti sulla statua dell’estasi borrominiana di santa Teresa d’Avila, qui conservati. Ma, allora, gli venne negato l’accesso. “Quando, nel 2019, sono diventato rettore di questa chiesa ho avuto una prova ulteriore di come la provvidenza divina agisca di continuo nelle nostre vite” sorride oggi.


Una chiesa dove approdano turisti ed artisti da tutto il mondo per ammirare quel vero miracolo artistico. Un pomeriggio, il 10 ottobre 2020, don Angelo vede tra i tanti visitatori assiepati davanti all’opera di Borromini, un ventenne, assorto nella contemplazione del mistero di quel marmo così carnale e spirituale, la teatrale apparizione di un amore divino che dilata un cuore e anima di energia rovente la gelida pietra. Passa mezz’ora e quel ragazzo, alto e silenzioso, sta ancora lì. Don Angelo comincia allora a parlargli e, scoperto che Amir è iraniano, lo aiuta a capire quelle simbologie che il giovane già percepisce ma ancora non comprende. E’ innamorato dell’arte italiana a tal punto da aver studiato l’italiano in Iran ed essersi esercitato per anni sui disegni dei maestri del rinascimento, Tiziano, Tintoretto e su tutti Michelangelo. Don Angelo conosce bene il mondo islamico essendo stato in missione in Turchia al confine con la Siria e ancor prima in Albania al confine col Kosovo (“lì, in luoghi di guerra, ho trovato una inaspettata umanità, ho visto darsi una mano tra cristiani e musulmani. E’ paradossalmente più facile vivere lì che qui in città, tra egoismo e solitudine” ammette il religioso) e con Amir nasce un sincero dialogo di scambio e ricerca: preparano insieme il presepe, don Angelo gli narra le storie bibliche, gli offre di fargli da guida a Firenze e a Pisa e gli offre soprattutto, nella chiesa, uno spazio dove dipingere e dove Amir può ricomporre il dramma del distacco dalla patria riconoscendosi “più italiano di tanti italiani” – come racconta – ma anche custode della cultura persiana autentica, compiendo il destino del suo nome, Amirhossein, “il signore che abbellisce”. Silenzioso, contemplativo ma anche dolcemente sarcastico (avendo subito assorbito l’ironia romanesca) viene anche accolto nella mensa dei carmelitani scalzi. E il sufismo, con cui Amir è cresciuto, incontra il messaggio cristiano. Lo “spirito santo che scruta tutto, perfino le profondità di Dio” risuona così nelle poesie dei poeti mistici islamici in cui l’anima evolve rendendosi specchio del divino (e Amir ha fatto un intenso autoritratto di se stesso usando uno specchio). Le sette valli del viaggio spirituale di Farid ad-din Attar come i sette giorni della genesi, i sette “io sono” di Gesù… E quando, alla fine del 2022, don Angelo diventa parroco della basilica di San Pancrazio, Amir si trasferisce anche lui, poco lontano dalla chiesa, in una

casa che condivide oggi con Miguel. Il giovane artista è stato il primo ospite della rassegna di incontri “La Voce dell’altro” che l’amico venezuelano organizza mensilmente nella basilica. Arrivato in Italia nel 2019 da rifugiato politico, Miguel ha trascorso tre anni tra i carmelitani scalzi ed i valori di quel noviziato li porta ora nella vita di ogni giorno (tra l’altro lavora come oss): “Vi invito ad aprire il cuore per ascoltare la voce dell’Altro, di un altro che non sia un problema, una noia ma una parte di noi stessi. Quella che non ascoltiamo più…” ha affermato introducendo la testimonianza di Amir. A farle da sfondo la cappella della basilica che custodisce il capolavoro di Palma il Giovane del 1615 che Bernini usò come modello per la sua estasi di Teresa. Davanti al grande quadro dell’angelo che trafigge il cuore della santa, frantumando la sua vita e ridestando la scintilla divina che è in tutti noi, Amir racconta la sua storia, con sincerità disarmante. E piange ricordando di quando, appena arrivato a Roma, andò subito alla basilica di San Pietro per vedere la Pietà di Michelangelo: “Per questa statua ho trovato la forza di lasciare la mia famiglia. Se vuoi capire cosa è l’umano bisogna guardare le opere di Michelangelo il cui spirito mi ha sempre guidato. E a Roma ho trovato anche le mie radici, la storia dei re magi, i templi mitraici, la cultura persiana che gli ayatollah hanno cancellato. Anche vedere Firenze mi ha cambiato la mente. I neoplatonisti Marsilio Ficino, Niccolò Cusano non sono poi così diversi dai nostri poeti persiani. C’è la stessa ricerca della verità, della libertà di pensiero. Per noi in Oriente prima di essere artisti bisogna essere ricercatori spirituali. Ecco perché cerco di studiare, leggere, ascolto la musica… E’ un cammino lungo, bisogna avere pazienza, bisogna lasciare che lo spirito elabori, che ci risvegli. Ed avere coraggio, essere capace di lasciare per cambiare, essere autentici in una società dove tutto è finto. E così ho capito che la mia casa è qui, tra questi dipinti, tra queste antiche colonne. Lo sento quando ho nostalgia della mia famiglia, sento che la mia casa me la porto sempre dentro, lì dove mi sento libero, nella mia arte, lì dove ci sono tutte le risposte quando le parole finiscono. E spero di potere essere di ispirazione per altri giovani iraniani, facendo da ponte tra due culture solo apparentemente diverse. Perché noi siamo il vero Iran, quello di una cultura pacifica, che crea bellezza, che rispetta le donne. Ed in questo cammino sono stato molto fortunato ad incontrare don Angelo, davvero un angelo”.

Don Angelo Campana nasce in piccolo paese sardo, Otzieri, padre pastore e madre che ha impastato “malloreddus” fino a 90 anni, quando la rottura del femore l’ha fermata. E’ nato nel 1979 quando i genitori avevano già 50 anni ed altri 4 figli. Nessuno lo aspettava tanto che all’inizio della gravidanza temettero un tumore. Ad Angelo i genitori vollero offrire un’istruzione, mancata agli altri fratelli. Poi, diventato ragazzo, in Angelo comincia una lotta interiore, una inquietudine profonda. Di fronte alla sua scuola c’è una comunità di carmelitani scalzi ed Angelo comincia a frequentarli. Da loro si sente a casa, ama il silenzio, inizia dei ritiri a Nuoro. “I miei amici pensavano che stessi uscendo di testa. Ma sentivo un grande bisogno di fermarmi. Facevo tante cose, troppe… E la sera contemplavo il cielo, l’immensità delle stelle, mi affascinava. Finché una notte gridai al Signore il mio dramma, questa cosa che mi portavo dentro. Ed allora avvertii che ero davanti a Lui, Il Signore era in me stesso e che potevo incontrarlo nel silenzio. Poi ho visto un quadro che mi ha ricordato quel momento. Il Cristo di San Giovanni della Croce di Salvador Dalì che ritrae il crocifisso dall’alto verso il basso, in una notte oscura. In un luogo dove il divino sta in alto e in basso allo stesso tempo. E che ci fa capire che più scendiamo in noi, più facciamo esperienza della luce che viene dall’alto”. Un momento di crisi e rinascita che don Angelo racconta in un video girato proprio ad uno dei ragazzi del suo “cenacolo”, Riccardo, che ha così voluto ricambiare la vicinanza umana del religioso. Don Angelo è un parroco molto amato anche dai fedeli della sua parrocchia, infaticabile nell’organizzare iniziative per i più fragili, gli anziani. “Vedo tanta solitudine, vite vuote, non sanno di nulla, anestetizzate, tristi, in cui si crede che stare accanto agli altri sia una perdita di tempo mentre invece è il mezzo per non inaridirci” chiosa don Angelo, seguendo in modo appassionato quel “alla sera della vita saremo giudicati sull’amore” di san Giovanni della Croce, il monaco spagnolo del ‘500 che fondò l’ordine carmelitano: mistico, poeta ma soprattutto umanista che ha lasciato opere che danno ancora risposte agli interrogativi esistenziali dell’oggi, esortando a vivere di amore incandescente, lontano da paure, apatie, nichilismi e facili scorciatoie.

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