Quando sono arrivata a Monteverde avevo sei anni ed erano i lontani anni cinquanta, il 1957, per la precisione. Venivo da un quartiere del centro storico, da quel Viale Regina Margherita dove i grandi palazzi umbertini si susseguivano l’uno all’altro, alternando eleganti portoni a botteghe e ristoranti. Del Viale Regina Margherita ricordo l’altezza degli alberi, il rumore dei tram, i grandi marciapiedi: tutto era grande per me che ero piccola!
Ricordo anche le aiuole ben curate della vicina Villa Paganini che si affacciava su Via Nomentana, altra via immensa per me, con tante macchine e autobus dalle lunghe antenne dove a volte si formavano lampi di elettricità.
Quando sono arrivata a Monteverde Nuovo, il paesaggio quotidiano si è trasformato radicalmente e ho osservato cose fino ad allora mai viste: piccole palazzine moderne, villini anni trenta stile liberty circondati da giardini, una lunga strada in salita , la Circonvallazione Gianicolense, dove abitavo, poco dopo la grande piazza S. Giovanni di Dio che, all’epoca, era occupata dai baraccati , dagli sfollati del dopoguerra, per lo più provenienti dalle Marche e dall’Abbruzzo. Quelle baracche nel quartiere si chiamavano “casermette”. Dove ora c’è il mercato, in quegli stessi spazi, fumavano i camini delle case basse, fatte con materiale di riuso, disposte in vicoli stretti, su strade sterrate e quasi sempre infangate dalla pioggia. A Natale i vicoli si riempivano dei suoni delle cornamuse, o meglio delle “ciaramelle” , così definite con un termine dialettale di origine imprecisata che sentivo circolare quando uscivo per il quartiere e accompagnavo mia madre a fare la spesa. Proprio di fronte a casa mia, in una delle palazzine nuove edificate dalle cooperative edilizie di quegli anni, dove ora circola il tram numero 8, si era stabilito un piccolo circo. La famiglia di artisti, probabilmente di origine rom, che lo gestiva occupava minuscole baracche, dove si conservavano i costumi da pagliaccio, le biglie colorate, i nasi finti. Nel pomeriggio i circensi cercavano di attirare i bambini con giochi di abilità e con il profumo dello zucchero filato che emanava da un grande pentolone. Al centro del piccolo circo era sistemata una giostra con i sedili di ferro a cui si agganciavano le catenelle di sicurezza, così quando i bambini si sedevano (io non ci sono mai potuta salire per la mancanza di fiducia dei miei sui “sistemi di sicurezza”) il capo giostra assicurava i bambini ai sedili con le catenelle e spariva dentro un baracchino sistemato al lato della giostra. I sedili erano fermi e i bambini molto eccitati, dopo poco, l’uomo azionava qualche misterioso congegno e la giostra lentamente cominciava a girare, prima piano e i bambini scalciavano e ridevano , poi sempre più forte e allora si sentivano i più piccoli urlare, altri piangere, altri ancora chiamare la mamma ,così il giostraio faceva rallentare la corsa dei sedili e i bambini spaventati erano presi al volo dalle mamme in attesa ai lati. Quelli che invece si divertivano, i più grandicelli, urlavano e salutavano allontanando per un attimo le mani dai braccioli . Io li guardavo invidiosa e ammirata, ascoltavo la musica gracchiante che accompagnava la corsa e pensavo “un giorno anch’io ci salirò sopra”.