Intervista di Raffaella Leone
Parla Fiorella Castelnuovo: Ciò che sta venendo a mancare in questo momento è una coalizione internazionale che riconosca i diritti di ciascuno e abbia l’autorità di far cessare le ostilità in cambio, da una parte, della restituzione degli ostaggi e del riconoscimento del legittimo diritto all’ esistenza dello Stato di Israele in sicurezza e dall’altro dell’impegno ad avviare nuovamente un percorso che porti alla costituzione di uno Stato Palestinese che possa svilupparsi in pace e autonomia.
A Monteverde c’é una forte presenza della comunità ebraica. Fiorella Castelnuovo è la portavoce monteverdina dell’associazione Pace in Medio Oriente, impegnata da anni nel tentativo di costruire/favorire il dialogo tra due popoli che si dividono la stessa terra. L’attacco compiuto il 7 ottobre dai terroristi di Hamas nel deserto a sud di Israele, ai confini con la striscia di Gaza, ha scioccato l’Occidente e non solo, ma dopo il primo moto di empatia per gli israeliani sono subentrati i distinguo e l’appoggio senza riserve ai palestinesi. Le chiedo: che cosa sta succedendo?
Il 7 ottobre è accaduto qualcosa che nessuno avrebbe pensato potesse mai accadere nei riguardi di una popolazione civile pacifica e pacifista come quella dei villaggi israeliani ai confini della striscia di Gaza. Forse non tutti sanno che ogni giorno, prima di quel maledetto giorno, migliaia di palestinesi si spostavano da Gaza per andare a lavorare proprio in quei villaggi limitrofi dove sarebbe stata compiuta quella strage. Il massacro perpetrato dagli uomini della formazione Hamas (acronimo di “Movimento Islamico di Resistenza” organizzazione politica islamista, sunnita e fondamentalista, considerata un’organizzazione terroristica da Unione Europea, Organizzazione degli Stati Americani, Stati Uniti, Israele, Canada, da un tribunale in Egitto e dal Giappone ed è bandita dalla Giordania) [ fonte Wikipedia)] ha, sul momento, fortemente colpito l’opinione pubblica. Immediatamente dopo però si è data una spiegazione, se non addirittura una giustificazione, legata alla irrisolta questione palestinese. Il governo di Israele, capeggiato da Netanyahu, ha deciso di rispondere a quel terribile attacco nel modo che conosciamo, nell’intento di eliminare l’organizzazione di Hamas e di riportare a casa gli ostaggi catturati.
Nei commenti del dopo 7 ottobre si leggono paragoni tra Gaza e i ghetti , i pogrom di tragica memoria, e esplicite accuse a Israele di praticare l’apartheid . Che effetto le fanno?
Purtroppo gli slogan e la propaganda fanno sì che si trascuri la conoscenza dei fatti storici che hanno preceduto l’attualità. Gaza, dall’agosto del 2005, non è più parte di Israele in base al “Piano di disimpegno unilaterale israeliano”, voluto dal governo capeggiato da Ariel Sharon. L’organizzazione denominata Hamas ha vinto le elezioni legislative indette dall’Autorità Nazionale Palestinese e governa la striscia di Gaza dal 2007 in contrapposizione al più moderato partito di Abu Mazen che governa invece la Cisgiordania ancora sotto occupazione israeliana, essendo falliti finora i vari tentativi di accordo per una spartizione del territorio e la nascita di uno Stato Palestinese. Ricordiamo in particolare gli Accordi di Oslo, del 1993, condotti dall’allora primo ministro Israeliano Rabin e il capo dell’Autorità Nazionale Palestinese Arafat che non videro mai la luce anche per l’uccisione, due anni dopo, di Rabin che ne era stato uno dei principali artefici. Per quanto riguarda l’apartheid, termine coniato nell’Unione Sudafricana per designare la politica di segregazione razziale e il sistema istituzionale in cui tale politica si è tradotta, non sembra potersi applicare ad Israele dove gli Arabi residenti hanno i loro partiti che siedono nel parlamento, ricoprono cariche istituzionali e hanno importanti ruoli nella vita del paese.
Nella Cisgiordania, la situazione è molto più difficile a causa dei numerosi insediamenti israeliani che il governo Netanyahu ha stabilito in quel territorio tuttora conteso.
La Comunità ebraica romana- e ovviamente non è la sola- teme un rigurgito di antisemitismo in un popolo, quello italiano, che pure conosce bene gli orrori della Shoah e ne è colpevole nella parte che appoggiava il fascismo. Non dovremmo essere tutti vaccinati contro l’antisemitismo?
Il bimillenario antisemitismo religioso in Italia ha le sue radici nell’accusa di deicidio che la Chiesa ha cancellato solo nel 1965 con la dichiarazione “Nostra Aetate” a conclusione del Concilio Vaticano II. D’altra parte i cittadini italiani di fede ebraica rinchiusi nei ghetti in virtù di un editto papale del 1555 hanno potuto ottenere l’emancipazione ed essere considerati cittadini italiani a tutti gli effetti solo con la presa di Porta Pia del 1870. Purtroppo nel 1938 le leggi razziali fasciste privarono gli ebrei italiani dei diritti fondamentali, nella quasi totale indifferenza del resto della popolazione, e fu l’atto iniziale della tragedia della Shoah in Italia.
Per quanto riguarda l’antisionismo, è necessario ricordare che l’urgente necessità di avere uno Stato in cui gli ebrei potessero trovare rifugio, nasce, alla fine del 1800 dai gravissimi episodi di antisemitismo in Europa, vedi il caso Dreyfus, e in particolare in Russia con i massacri perpetrati nei confronti degli ebrei residenti. La risoluzione 181 dell’Assemblea delle Nazioni Unite del 29 novembre 1947 prevedeva la spartizione del territorio ex Mandato Britannico in due Stati: uno arabo e l’altro ebraico. Gli Stati Arabi confinanti però rifiutarono tale decisione e mossero guerra al neocostituito Stato di Israele: fu l’inizio del conflitto nel Medio Oriente ancora irrisolto.
Anche uno storico alleato di Tel Aviv, come gli Stati Uniti, si è unito all’Onu nel chiedere moderazione nella inevitabile ( e prevedibile, anche in Hamas) reazione israeliana all’attacco del 7 ottobre. Il governo di Netanyahu finora ha ignorato ogni appello e si dice intenzionato ad andare avanti fino a quando Hamas non sarà sradicata. In queste condizioni, parlare di pace non è surreale?
Riporto le parole di Wadid Tamimi, scrittrice, figlia di un palestinese emigrato negli Stati Uniti dopo la guerra del 1967 e di una ebrea la cui famiglia si salvò scappando dall’Europa dominata dai nazisti:
“Pace e sicurezza sono le due facce di una stessa medaglia. Il loro contrario lo conosciamo bene e anche loro, guerra e insicurezza, fanno il paio. Seguono altre coppie, quali occupazione e resistenza, attacco e autodifesa, che in forme diverse applicano sempre la medesima regola: alla violenza contrappongono la violenza. È un legame difficile da recidere. Ci vuole più che un tocco di sventatezza, ci vuole coraggio.” Credo che il coraggio che appartiene alle persone di alto profilo possa essere trovato e anzi debba essere trovato. In questo momento così drammatico è più che mai urgente trovare da ambedue le parti i leaders che, con forza e lungimiranza avranno questo coraggio. Non possiamo fare a meno di crederci, non ce lo possiamo permettere.
Crede che sia possibile dare concretezza e contenuto politico alla formula da tutti invocata: due popoli, due stati?
Non credo possa esserci una soluzione diversa da “due popoli, due stati”. Ogni altra ipotesi, che purtroppo sciaguratamente da alcune parti viene invocata, porterebbe, da una parte, alla soppressione della autonomia e dell’autodeterminazione, se non addirittura la eliminazione fisica di Israele, dall’altra, alla definitiva rinuncia ad uno stato palestinese libero e indipendente. Questa soluzione potrà realizzarsi solo in seguito ad una pace solida che garantisca la sicurezza dei due stati e quindi la rinuncia da ognuna delle due parti ad atti di violenza che mettano in pericolo la vita dei cittadini.
- È importante sottolineare come esistano sul territorio organizzazioni israeliane e palestinesi che lavorano insieme in vari settori e dimostrano con le loro attività come una convivenza pacifica e cooperativa sia possibile e positiva per tutti. L’Associazione americana denominata ALLMEP (ALLIANCE for MIDDLE EAST PEACE), a cui la nostra associazione è affiliata, riunisce più di 160 organizzazioni di tutto il mondo e centinaia di migliaia di Palestinesi e Israeliani, per la costruzione di cooperazione, giustizia, uguaglianza, comprensione reciproca e pace all’interno delle loro comunità.
Come si sta muovendo l’associazione Pace in Medioriente?
L’Associazione “Pace in Medio Oriente” nasce dall’esigenza di trovare punti di incontro e confronto tra parti che, per dirla con le parole dell’on. Fassino, si dibattono tra due ragioni. Tutti gli associati concordano su principi ineludibili:CONTRIBUIRE ALLA DEFINIZIONE DI CONCRETE IPOTESI DI SOLUZIONE per la costruzione di un percorso che conduca ad una PACE DURATURA IN MEDIO ORIENTE, tale da poter superare lo scontro ideologico tra estremismi per realizzare una convivenza civile e paritaria nei diritti e nei doveri dei popoli israeliano e palestinese e delle altre minoranze in UN’OTTICA INCLUSIVA e in un clima di RECIPROCA SICUREZZA E RISPETTO. PROMUOVERE la FORMAZIONE e l’EDUCAZIONE delle NUOVE GENERAZIONI al RISPETTO e alla SOLIDARIETÀ basandosi sui COMUNI VALORI UMANI, ALL’ASCOLTO e al DIALOGO per ACCOGLIERE LE DIVERSITA’ CULTURALI, nell’ottica di una SOCIETA’ MULTIETNICA INTEGRATA, LIBERA e DEMOCRATICA. In questa ottica l’associazione promuove incontri, eventi e partecipazioni che tendono a favorire un dialogo costruttivo oltre che a fornire elementi di riflessione scaturiti da ricerche e studi condotti da esperti del settore e storici.
Per quanto sia impossibile fare previsioni, secondo Lei quando e come si concluderà questa tragedia?
Ciò che sta venendo a mancare in questo momento è una coalizione internazionale che riconosca i diritti di ciascuno e abbia l’autorità di far cessare le ostilità in cambio, da una parte, della restituzione degli ostaggi e del riconoscimento del legittimo diritto all’ esistenza dello Stato di Israele in sicurezza e dall’altro dell’impegno ad avviare nuovamente un percorso che porti alla costituzione di uno Stato Palestinese che possa svilupparsi in pace e autonomia. Credo anche che i paesi arabi moderati potrebbero contribuire a favorire questo processo insieme ad un Occidente più impegnato in tal senso rispetto a quanto è avvenuto nel passato.
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