Senza luce e tra molti pregiudizi, la vita nel campo rom ‘tollerato’ della Monachina

di Cristina Mattiello, attivista del Comitato solidale e antirazzista Monteverde

Le foto che illustrano l’articolo sono di NINO, un giovane che vive nel campo

Basta prendere l’Aurelia in uscita, passare il raccordo, arrivare al tredicesimo km e alzare lo sguardo in vista del viadotto. E’ vicinissimo, senza traffico, anche da Monteverde. Lì, a sinistra dell’Aurelia, c’è Massimina, zona periferica – troppo – dimenticata del nostro Municipio. Sopra, un piccolo campo rom, un microcosmo che difficilmente si nota, se non lo si cerca. Non so quanti sul nostro territorio sappiano della sua esistenza. Burocraticamente afferisce al XIII Municipio, il confine è il suo stesso confine. Ma la vita quotidiana di tutti si svolge nel nostro, a Massimina, appunto, dove sono anche le scuole dove vanno (o dovrebbero andare) i bambini.
Il campo della Monachina (dal nome della via sopra la rampa) è un campo “tollerato”. La terminologia formale classifica gli insediamenti rom in tre tipologie: 1. “Campi gestiti”, autorizzati e ufficialmente seguiti e regolamentati dal Comune; 2. “tollerati”, cioè lasciati sussistere, anche se non sono formalmente autorizzati, sempre a rischio di sgombero, con pochissimi interventi istituzionali. 3. Insediamenti informali.

La Monachina, in quanto campo tollerato, ha avuto la fornitura di acqua, ma mai quella della luce, nonostante i tanti tentativi, le tante richieste. Dare l’allaccio dell’energia elettrica comporterebbe far salire il campo nella classificazione, e non c’e’ai stata la volontà politica per questo. Eppure il campo é lì dal 1995. I nuclei in condizioni meno precarie sopperiscono con piccoli generatori, molto costosi, ovviamente, che vengono quindi usati solo per le esigenze primarie, o con la luce delle stufe a legna. Essenzialmente la sera il campo è buio. La mancanza di elettricità ovviamente crea problemi forti, e non solo d’inverno per il riscaldamento. Forse non molti immaginano che a meno di mezz’ora dalla Gianicolense ci sono persone che per lavarsi devono scaldare l’acqua col braciere o con la stufa a legna.

I residenti sono oggi in tutto una sessantina, circa una decina di famiglie. Tranne pochissime persone rumene la quasi totalità sono di origine ex-Jugoslavia. Solo gli anziani però vengono davvero da lì. E ormai sono pochissimi. Sono fuggiti, come tanti altri, durante la devastante guerra etnica degli anni ’90, nella quale i Rom erano bersaglio di tutti. Avrebbero quindi avuto diritto allo status di rifugiati, invece sulla base di una visione stereotipata e pregiudiziale sono stati considerati “nomadi” e chiusi in campi di fatto etnici. Nell’ex-Jugoslavia i Rom vivevano in case, povere, o molto povere, ma case. I campi sono un’invenzione italiana, non fanno parte del loro modo di vivere nella modernità. Questo è il primo dei tanti stereotipi da comprendere e superare per vedere i rom nella realtà e non attraverso le lenti del pregiudizio.


Nel campo sono presenti già tre generazioni: tutti, tranne gli anziani, sono nati qui, la quasi totalità a Roma, negli ospedali del quadrante ovest (Gemelli, S. Filippo Neri). E non si sono mai mossi da Roma. Ma non hanno diritto di accedere alla cittadinanza italiana, che richiede un’attestazione formale molto complessa e continua, una serie di documenti, come i certificati di residenza, di cui molti sono stati per molti periodi privi. Non bastano l’iscrizione a scuola, né alla ASL, né i certificati di vaccinazione. Molti ragazzi hanno perciò come unica possibilità quella di diventare apolidi, con una procedura lunga e complessa. Questa situazione comporta un forte disagio psicologico e crea una difficoltà estrema, spesso invalicabile, nell’inserimento sociale.

Non ci sono mai stati interventi istituzionali rilevanti. La Comunità di S. Egidio è stata attiva in passato, ora sono rimasti solo alcuni rapporti individuali, anche se molto forti. A lungo è stato presente l’Arci per la scolarizzazione, e dopo, per un breve periodo, il campo è stato gestito dalla Casa dei diritti sociali. Poi, come in tutti i campi, la nuova gestione comunale ha eliminato il sostegno delle associazioni. Una mossa troppo radicale e affrettata, che ha avuto come esito un peggioramento pesante delle condizioni del campo, sotto tutti i profili. Da alcuni mesi la Croce Rossa ha avuto l’incarico di gestire la Monachina soltanto per l’attuazione del “piano rom” di Roma Capitale: un mandato strettissimo. Le linee, fortemente contestate fin dall’inizio da tutte le associazioni di solidarietà, prevedono un aiuto economico per l’affitto per 2 anni. Ma chi sottoscrive l’accordo deve trovare autonomamente una casa in affitto ed insediarsi. Ma chi darebbe una casa a dei rom? E come è possibile che nuclei ai limiti della sussistenza possano dare mensilità anticipate? Pochi hanno firmato e quasi nessuno ha trovato una casa. In compenso ora è stato annunciato lo sgombero per gli altri.

Eppure la Ue ha dato milioni, sì, decine di milioni di Euro al nostro paese per sollevare le condizioni di una comunità che a tutti gli effetti è e dovrebbe essere considerata una minoranza etnica da tutelare. Anche Roma ha avuto decine di milioni di Euro negli ultimi anni .. per circa 8000 persone! Ma sono finiti nei meandri della corruzione o sono stati spesi in modo del tutto inefficace o in sgomberi (che costano molto!). Pochissimo in percorsi mirati a formazione, lavoro, casa, i tre assi che dovrebbero essere portanti.

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