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Le donne per la pace: come tessere la tela?

A Roma nuova iniziativa di Sinistra per Israele, a un anno dal 7 ottobre

ARTICOLO DELLA REDAZIONE DELLA RIVISTA RIFLESSI

Si è svolto eri a Testaccio l’incontro organizzato da Sinistra per Israele, sezione di Roma, per ricordare la strage di Hamas del 7 ottobre. Moderati da Aurelio Mancuso, con l’intervento introduttivo di Roberto Della Rocca, sono intervenute Paola Concia, Anna Rossomando, Maria Elena Boschi, Linda Laura Sabbadini.

In apertura, Roberto Della Rocca ha raccontato l’esperienza di un paese tuttora traumatizzato. Ha citato alcuni casi: il trauma di Sderot, o il trauma del Nova festival. Come democratico di sinistra, che ha fatto l’Alya per vivere in un kibbutz, ha ricordato di essere da sempre a favore di un paese democratico ed ebraico, mentre oggi in Israele il governo di ultradestra – con il Likud diventato partito personale del premier e due partiti kahanisti, giudicati fascisti – ha prima avviato una riforma della giustizia autoritaria e poi non ha saputo prevenire l’attacco di Hezbollah. Il governo è corresponsabile, ha concluso Della Rocca, perché pensava di controllare Hamas con i soldi del Qatar, mentre non si è capito che il fondamentalismo non ragiona secondo logiche occidentali. Oggi però non c’è solo la guerra a Gaza e sugli altri fronti a preoccupare, ma anche il fronte interno: occorre salvare Israele quale Stato democratico.

Paola Concia ha sottolineato che il 7 ottobre è un giorno di lutto, in cui si è scatenata la caccia all’ebreo, che ricorda la shoah. Come donna di sinistra la guerra la addolora, perché la sinistra da sempre è per due popoli e due Stati; oggi però occorre riconoscere che un governo di sinistra non avrebbe fatto cose molto diverse da quelle del governo Netanyahu. Quello che a sinistra non si comprende è che oggi l’Europa è in una morsa, stretta tra Ucraina e altre dittature che vogliono attaccare la democrazia liberale. La sinistra deve prendere coscienza che questo è lo scontro in atto: ecco dunque cosa significa essere di sinistra ed essere per Israele. Concia ha poi condannato duramente chi manifesta a favore di Hamas e Hezbollah, così come la sottovalutazione del nuovo antisemitismo. Ha concluso sottolineando come anche dentro il movimento femminista e il movimento Lgbqt, che hanno negato le violenze sulle donne israeliane, si sia troppo blandi contro il regime iraniano e ogni altro fondamentalismo.

Anna Rossomando e Maria Elena Boschi hanno affrontato la questione del percorso politico e diplomatico necessari per uscire dal conflitto. Per Rossomando è importante riflettere su alcune parole chiave. La prima è “stupro”: il 7 ottobre ha rinnovato il dolore di un pogrom che ha colpito civili inermi, in cui lo stupro è stato usato come strumento di offesa bellica, e il corpo delle donne è stato oggetto di aggressione terroristica. La seconda parola è “ostaggi”: quelli israeliani, ha sostenuto, devono tornare a casa. Infine, c’è la parola “antisemitismo”, che ha conosciuto un’esplosione dopo il 7 ottobre. Occorre essere inflessibili nella lotta all’antisemitismo, non solo nel dibattito pubblico, precisa Rossomando, ma anche nelle discussioni private, quelle quotidiane. Quanto alla possibile soluzione politica, non si deve rinunciare all’obbligo della speranza e creare le condizioni per il cessate il fuoco; ad esempio con una conferenza di pace e favorendo l’allargamento degli accordi di Abramo. Quel che è certo è che la formula “due popoli e due Stati” richiede anche garantire la sicurezza . Più che una battaglia di civiltà tra occidente e oriente, ritiene che occorra preservare le libertà democratiche a rischio oggi anche in Europa: Israele in questo è un laboratorio, dove la democrazia è a rischio, un rischio che corre l’Europa; dunque le sinistre devono battersi sulla difesa dei diritti umani anche all’interno delle nostre democrazie. Infine, Rossomando si è interrogata sulle manifestazioni pro il 7 ottobre e su ciò che avviene nelle università: come parlare a quei giovani? Occorre, ha concluso Rossomando, dare a quei giovani un’alternativa alle morti civili di Gaza.

Per Boschi l’operazione compiuta da “Sinistra per Israele” è fondamentale per far sentire una voce a sinistra ora minoritaria, quindi da sostenere con convinzione. Occorre cioè non lasciare la battaglia contro l’antisemitismo alla destra, che oggi sta divenendo referente unico del mondo ebraico; anche se, ha sottolineato, alcune inchieste giornalistiche hanno evidenziato il passato fascista e antisemita che ancora si nasconde dietro le dichiarazioni ufficiali. Oggi occorre lottare contro l’antisemitismo e contro chi, ad esempio, aggredisce le forze dell’ordine a una manifestazione che vuole dirsi pacifista. Il tema allora è: come ricostruire il consenso attorno a Israele? Importante, ha spiegato Boschi, è l’impegno di uomini e donne di buona volontà, e perseguire la via diplomatica; ha perciò criticato il governo italiano, oggi a capo del G7, che non ha avviato alcuna iniziativa politica sul medio oriente. Per avere due Stati, ha spiegato, occorrono poi alcune condizioni: non solo la eliminazione del vertici di Hamas e Hezbollah, ma un cambio anche al vertice di Anp, mentre in Israele il cambio sarà eventualmente deciso da libere elezioni.

Linda Laura Sabbadini ha ricordato innanzitutto le mutilazioni sessuali subite dalle donne israeliane il 7 ottobre: un accanimento di massa contro le donne. Il 7 ottobre, cioè, c’è stata una consegna precisa a chiunque avesse partecipato al pogrom: mostrare la violenza che colpisce l’autonomia femminile. È stato un manifesto programmatico a tutte le donne: o vi sottomettete, o la morte vi aspetta. Il 7 ottobre è stato dunque un messaggio reazionario e patriarcale trasmesso al mondo, la reazione più becera alle conquiste delle donne; non a caso sono stati attaccati i kibbutz, perché da sempre laboratori di libertà: di cantare, ballare, controllare il proprio corpo, essere se stesse. Eppure, ha spiegato Sabbadini, c’è stata una ambiguità nella risposta del mondo femminista, perché per tale mondo non può essere considerata sorella se non si rinuncia alla propria identità ebraica: questo predica il transfemminismo, un movimento che nasce negli Usa, dove gli ebrei sono accusati di essere bianchi, oppressori e colonialisti. Ma anche in Italia ne abbiamo avuto un assaggio. Il 5 novembre 2023 la piattaforma “Non una di meno” è stata fiancheggiatrice del 7 ottobre: non si menzionavano le violenze alle donne israeliane, non si chiedeva la liberazione agli ostaggi, ma solo dei detenuti palestinesi, né si ricordavano le violenze a omosessuali e transessuali, né si citava mai Hamas. Insomma, un cedimento totale al filoislamismo e alla logica patriarcale di Hamas. Come è possibile, si è interrogata Sabbadini, che tali posizioni trovino spazio a sinistra? Certo si può criticare Netanyahu, ma far passare l’idea di genocidio a sinistra non è ammissibile. Tutto ciò, ha evidenziato, è il sintomo di crisi ideale che fa rifugiare in stereotipi terzomondisti, mentre in realtà sono a rischio le nostre libertà: oggi il pericolo proviene dal fronte iraniano, turco, russo, cinese.

il 6 ottobre Sinistra per Israele, sezione di Roma, aveva organizzato anche una veglia silenziosa al parco Rabin
Non comprendere qual è la posta in gioco significa perdere la partita. La sinistra deve dunque fare attenzione, ha ammonito Sabbadini, a leggere i processi in corso e a non cedere a una visione terzomondista. Occorre oggi un’operazione di verità soprattutto a favore dei più giovani, animati da volontà di pace ma che non conoscono la storia. La buona politica deve sapere non accodarsi ai luoghi comuni. E se certo occorre tener conto della sofferenza prodotta da questa guerra, occorre lavorare alla nascita di due Stati in sicurezza. Quella sicurezza che oggi non hanno né gli israeliani, vista la responsabilità di Netanyahu per aver sottovalutato Hamas e per avere incentivato le occupazioni in Cisgiordania, né il popolo palestinese, tradito ancora una volta da una leadership islamista. Ha infine chiuso con una speranza: che gli israeliani sapranno ritrovare la fiducia per reagire; e che le donne siano protagoniste di una nuova stagione, come costruttrici di pace.



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