“Insegno teatro, un potente strumento per formare e liberare i giovani ( e non solo)”
di Maria Elena Carosella
L’effetto che la pratica teatrale ha avuto sulla mia vita è stato straordinario, ero timida e impacciata, incapace di affrontare un dialogo senza perdere il controllo delle emozioni e delle parole.
Grazie agli esercizi, alle condivisioni, le azioni sceniche, le improvvisazioni e le letture ad alta voce, tutti questi limiti e, soprattutto la paura di entrare in relazione, sono svaniti, uno dopo l’altro.
Sono nata e vivo a Monteverde. Credo che questo abbia influenzato decisamente la mia formazione, soprattutto la vicinanza con il parco più grande della città, (abito davanti a Villa Pamphilj da quando sono nata), ha segnato il mio rapporto con Roma e sviluppato il mio sentimento per la natura.
Terminati gli studi incentrati sul Teatro presso la Sapienza ho cominciato a pensare che il mio gusto per lo spettacolo e il piacere di fruitrice ed artista era poco o niente rispetto al potere che lo strumento teatrale poteva avere per la formazione e la liberazione dell’individuo.
L’effetto che la pratica teatrale ha avuto sulla mia vita è stato straordinario, ero timida e impacciata, incapace di affrontare un dialogo senza perdere il controllo delle emozioni e delle parole.
Grazie agli esercizi, alle condivisioni, le azioni sceniche, le improvvisazioni e le letture ad alta voce, tutti questi limiti e, soprattutto la paura di entrare in relazione, sono svaniti, uno dopo l’altro.
Allo stesso modo conoscere le teorie pedagogico-teatrali mi ha aperto ampi orizzonti, infatti queste, applicate alla formazione dei giovani, avrebbero potuto aiutare moltissimi nel loro sviluppo psicofisico. Sentivo già a vent’anni un forte senso di missione per il sostegno e la cura degli esseri umani, trovare un mezzo potente per aiutarli mi rendeva felice.
Comincio allora, nel 1992, corsi di formazione, con un metodo che si avvale delle esperienze tra oriente e occidente che avevo indagato attraverso i miei studi universitari. Studi teorici si erano affiancati a studi pratici con grandi pedagoghi teatrali provenienti da varie parti del mondo. Con questo bagaglio e, l’intenzione di regalare il mio patrimonio a chi incontrerò in classe, mi reco coraggiosamente nelle scuole pubbliche di Monteverde e dintorni.
I bambini ed i giovani con cui inizio i percorsi di formazione, il primo anno, sono alunni di mia madre o compagni incontrati in laboratori di ricerca. Incontro anche la filosofia buddista che mi aiuta a valorizzare ancora di più l’idea della cultura e l’educazione come base solida per cambiare la storia dell’umanità. Già dal secondo anno di lavoro come regista pedagoga ho moltissime richieste da docenti che vogliono fare insieme, nelle loro classi l’esperienza del laboratorio teatrale. Poco dopo, ho la fortuna, di avere un finanziamento pubblico per valorizzare il linguaggio del teatro nelle scuole. Negli anni ‘90 le istituzioni sembrano comprendere il valore formativo dell’arte.
I risultati dei percorsi sono eccezionali e questo mi incoraggia a proseguire con un atteggiamento entusiasta.
Vari elementi diventano la base del mio lavoro. In primo luogo l’ascolto della diversità, il desiderio di dare spazio alla creatività infantile, che è il tramite per manifestare la parte più sana e sincera dell’essere umano. Altro perno è la ricerca e l’apertura del potenziale psicofisico di ogni partecipante; ognuno a modo suo, può realizzare un’espressività originale con i propri canali di comunicazione: la voce, il corpo le emozioni che si traducono in vibrazione sonora e forme del movimento.
L’Armando Editore nel 1998 mi propone di scrivere due libri all’interno del progetto Gulliver, idea editoriale di Anna Maria Sorbo, che lega testi teatrali e saggi pedagogici per realizzare spettacoli nella scuola (dall’asilo al liceo). Dunque scrivo: un libro di testi da mettere in scena con bambini del primo biennio delle elementari, ed un saggio che dovrà aiutare le maestre nel lavoro teatrale con gli alunni. I due volumi sono pubblicati in breve tempo ed hanno un buon successo, di Fiabe teatrali per bambini coraggiosi, viene fatta una seconda edizione.
Negli anni il rapporto con la natura e la difesa di tutte le forme della vita è diventata l’esigenza primaria del mio lavoro. Mi sembra fondamentale far comprendere ai bambini l’importanza di essere uniti all’Universo e poter vibrare con stelle e pianeti ogni giorno. Da sempre ho cercato di far gioire gli alunni per questa identità, liberandosi dai limiti angusti del proprio piccolo io. Allargare i propri orizzonti per uscire da una visione miope legata ad uno sguardo su se stessi è sempre stato un obiettivo primario.
Gli spettacoli prodotti a scuola o negli altri spazi che utilizzavo sono stati incentrati sulla vicinanza tra l’essere umano e gli elementi della natura, tra uomini, donne, bambine e bambini, piante, animali e ambienti in cui vivono.
Oltre il Piccolo principe, messo in scena per 15 anni con tante classi dalla terza alla quinta di molte scuole pubbliche, anche: L’Occhio del Lupo di Daniel Pennac, Sogno di una Notte di mezza estate, Fiabe Italiane, le Città invisibili di Italo Calvino, la Fabbrica del Cioccolato, l’Odissea, l’Inferno della Divina Commedia, sono stati cavalli di battaglia del mio lavoro pedagogico. E poi tantissimi copioni scritti ad hoc per le classi e i gruppi teatrali che stavo seguendo.
Con l’idea di non lasciare nessuno indietro e grazie alla collaborazione con docenti e dirigenti illuminati, abbiamo programmato percorsi di integrazione per bambini diversamente abili, portandoli a creare rapporti straordinari con il loro gruppo classe. Abbiamo inventato testi teatrali capaci di portare la comprensione delle dinamiche relazionali e, allo stesso tempo, far vivere l’esperienza di momenti positivi nella creazione collettiva, attraverso il gioco e la sperimentazione del proprio potenziale.
Sono ora al ventinovesimo anno di lavoro con i bambini, i giovani e gli adulti.
Nel 2020, utilizzare il mezzo teatro in pandemia, è stata un’esperienza quasi positiva, perché, lavorare all’aperto e distanziati ha permesso di vedere altri aspetti del potere che ha un’arte tanto multiforme e poliedrica.
Non potersi avvicinare, abbracciare, non poter usare il palco, le luci e tanti elementi che fanno il teatro nella sua complessità ci ha permesso di vivere l’essenziale che, come dice la volpe di Saint-Exupery, “è invisibile agli occhi”.
“Si vede bene solo col cuore” dice la volpe al Piccolo Principe e, questo aspetto immateriale, che riguarda l’essenza della vita, grazie ai limiti di una malattia tanto grave, è diventato oggi l’aspetto il più importante del fare arte.
Abbiamo levato orpelli, aspetti secondari della pratica teatrale, per andare a ricercare i nuclei essenziali che sono legati alle relazioni.
Le relazioni che permette il teatro sono innumerevoli e bastano per farne un’arte grande e preziosa, indispensabile per ognuno di noi.
Oggi, con i miei alunni, di tutte le età, ci stiamo dedicando alla relazione con: il corpo, il respiro, ci dedichiamo all’ascolto della voce, all’osservazione amorevole del modo con cui entriamo in contatto con gli altri.
La nostra relazione empatica con gli elementi della vita: con gli alberi, i prati, il cielo e l’acqua ci porta ad un estremo benessere psicofisico. Dove avevamo dimenticato le possibilità di essere e comunicare, oggi attraverso l’apertura alla vita in tutte le sue forme, ritroviamo le nostre potenzialità.
Stare chiusi a casa mostra i confini ed i limiti angusti del nostro essere, anche il corpo spesso fermo o al massimo impegnato in esercizi ripetuti o copiati, non sperimenta il suo illimitato potenziale creativo. Fare teatro all’aperto, nella natura, aiutati dagli orizzonti sconfinati proposti soprattutto dalla musica classica, porta a sentire gioia, leggerezza e libertà, ampliare ogni giorno il proprio sentire, la capacità di vedere dentro di sé.
Fare questo teatro significa superare i limiti del sé e rompere le barriere che ci dividono dalla vita, sentire che siamo una cosa sola con il fluire dell’energia universale.
Attenzione il sentirci insieme, non più isolati, non deriva dallo stare all’aperto ma dall’aprire noi stessi.
In tal modo credo che il sostegno reciproco, tra esseri umani e natura, possa diventare sempre più forte e permetterci di vivere sempre meglio su questo meraviglioso pianeta .
I testi che sto scrivendo per i partecipanti ai corsi sono legati all’ascolto, sento e osservo con empatia ogni persona, per cercare di valorizzare al massimo ognuno. Credo che questo sia il mio lavoro principale, unito al desiderio costante di rendere tutti felici attraverso l’uso del mezzo teatro.
Villa Pamphilj e il Parco della Valle dei casali (dove realizzo i laboratori) ci accolgono con generosità, ogni albero ogni sua foglia, tutto ci aiuta e noi siamo parte di questi luoghi. Importante è non dimenticare la gratitudine verso gli elementi che ci permettono la vita e comprendere che è prioritario: proteggere e difendere questa Terra per proteggere e difendere ognuno di noi, non c’è scissione reale tra essere umano e ambiente.
Per me oggi, come nel 1992, il teatro è strumento potentissimo di ricongiungimento dell’uomo con la natura, far riconoscere ad ogni partecipante dei corsi di essere figlio delle stelle e gioirne insieme mi sembra l’obbiettivo più importante di Yogateatro e di Teatro Natura.
A 23 anni mi sono resa conto di avere nelle mani uno strumento per lo sviluppo dei nostri processi di consapevolezza, così ho scelto di condividere tale percorso con più persone possibili.
Oggi rinnovo questa decisione lavorando costantemente perché ogni persona senta come in lei è contenuto l’Universo e come l’Universo la contiene e l’abbraccia senza posa.
Ecco il senso del mio fare teatro.
Maria Elena Carosella, maestra di teatro.
Una bella esperienza eper chi la fa e proficua per chi ha avuto la fortuna di. Fruirne.. Ho conosciuto ragazzi che hanno praticato. E hanno risolto molti dei loro problemi di relazione mentre altri sono semplicemente cresciuti meglio